30 marzo 2010

Questioni di M....





“Pare incredibile, ma la notizia arriva proprio dall’America dei grandi ranch, delle mandrie spostate da una pianura all’altra e dei cow boy. Il paese non sa più come smaltire enormi masse di letame prodotte sia dai giganteschi allevamenti di bovini, pollame e suini che dalle stalle annesse ai caseifici. Un problema non indifferente, perché l’aria di vaste zone – la denuncia è degli ambientalisti- è irrespirabile a causa del gas metano prodotto dallo stallatico sovrabbondante. Che non trova più impiego in agricoltura: i fertilizzanti chimici ormai fanno la parte del leone e hanno interrotto la tradizionale catena di smaltimento che funzionava a meraviglia nelle vecchie fattorie.
Qui le scorie animali vengono riciclate come consumi nei campi che a loro volta danno cibo per gli animali. Per l’agenzia americana di protezione dell’ambiente si tratta di un’emergenza da risolvere. Si prospettano due soluzioni: disidratare il letame vendendolo, depurato dai batteri, in tavolette oppure usare il gas metano come fonte di energia.”

Tratto da “Popotus”
giornale di attualità per bambini in allegato ad “Avvenire”



Intanto c’è da chiedersi come una così seria riflessione venga considerata “cosa da bambini”, forse perché loro ancora così vicini alla fase anale dello sviluppo sono in grado di riconoscerne l’importanza. Certo è che il rischio che si corre è quello di annegare in un mare di M…. e tutto ciò perché la logica produttiva americana fa sì che sia necessario sostituire qualcosa di naturale come il concime stallatico con un prodotto sintetico. Perché? Per far girare l’economia? E cosa produce un sistema alimentare basato sul consumo di carne in tutte le forme e salse? La risposta, gira che ti rigira, ti riporta sempre lì. Senza considerare che ciò che nella cultura economica odierna viene considerato rifiuto da smaltire, magari a pagamento nel momento esatto in cui diviene necessario, per qualcuno si trasforma immediatamente in merce pregiata da pagarsi a caro prezzo. In questa contraddizione siamo caduti anche noi, pagando un letame ( e che letame! ) che molti altri consideravano scorie da smaltire…

…. l’esperienza insegna anche in fatto di M….

Chiudo con uno “stimolo” alla riflessione di Gino e Michele:
“Basta con i piaceri della carne… facciamo godere anche le verdure”

Ruggero


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Pensierino della sera

Nella nostra società della comunicazione ormai un fatto non esiste se non viene diffuso dai media, in particolare (anzi, quasi esclusivamente) anglofoni.
La notizia proveniente dalle sterminate ed immaginifiche praterie degli States è una “non” notizia per chi si occupa del settore.
Peraltro, anche ai non competenti automobilisti che in certi periodi dell’anno hanno la ventura di attraversare la nostrana e provinciale bassa padana, non sarà sfuggito un profumino piuttosto “deciso” che proviene dai campi. Anche se non parla con le patate in bocca, quella puzza ha la stessa poco nobile origine di quanto riscontrato dagli ambientalisti USA.
Anche da noi la motivazione sta nel fatto che si è spezzato l’equilibrio che governava le vecchie aziende agricole, dove vigeva il “ciclo chiuso”, dove nulla si perdeva e tutto era in equilibrio.
Poi è arrivata la specializzazione, l’efficienza (apparente), e così ora da una parte ci sono aziende da 200 ettari a cereali senza una vacca, per le quali acquistare il letame diventa un costo insostenibile, e quindi non concimano più organicamente i terreni che si depauperano in maniera drammatica; dall’altra abbiamo aziende zootecniche con centinaia (o migliaia) di capi bovini e suini che al contrario annegano nella cacca, e per le quali smaltire la cacca diventa un problema ed un costo.
Anche da noi ormai i liquami (il letame è altra cosa) vengono utilizzati per fare biogas, e ci sono anche significativi finanziamenti regionali in materia.
E chi è vegetariano (come il sottoscritto si sforza di essere) sa benissimo che se si riducesse l’allevamento degli animali, che sono alla base della dieta ipercarnivora che è ormai alla portata di un paio di miliardi in più di persone, verrebbe di molto ridotto il problema dei gas serra (oltre ovviamente a ridurre la vergogna dello sfruttamento delle altre creature da parte della belva umana).
Ma se vengono da qualcuno che parla inglese certe notizie colpiscono di più…

Sergio

10 marzo 2010

QUELLI/E CHE FECERO L’IMPRESA
















“Coltivare la terra per far crescere relazioni nuove”, se dovessimo riassumere in una frase la filosofia di questo pazzo progetto mai parole potrebbero essere più veritiere.

I tempi bui che oggi abitiamo, rattristati da crisi economiche e non solo, ci spingono a cercare strade nuove o vecchie da percorrere o ripercorrere in cerca di un diverso modo di riempire di valore le nostre esistenze.

Il nascere e svilupparsi dell’idea di un orto biologico condiviso ne è soltanto la conferma: siamo partiti ascoltando il desiderio di ritrovare un ritmo più a contatto con i tempi di Madre Terra e, prima ancora di aver riempito gli zaini, ecco sopraggiungere altri che dicono “Partiamo con voi!”, cosicché il viaggio diventa subito più lieto e sicuro. Sia per la gioia di aver raccolto relazioni autentiche prima ancora di aver seminato, sia perché nel confronto coi compagni di strada nascono nuove competenze, contaminazioni di esperienze e racconti di vita vissuta.
La strada è lunga ed incerta, per nulla facile, come in ogni viaggio autentico che si rispetti. Eppure, già dopo così poco tempo e così poca strada, i primi germogli sono già custoditi nei nostri cuori. Non solo. Molti intorno a noi chiedono “Dove andate?”, “Posso venire anch’io?”.

Immaginatevi lo stupore, di chi pensava di partire in solitaria o quasi, alla ricerca dei frutti dei propri desideri, scoprire di essere tracciatori di pista per tanti altri che seguiranno.
Quanti dubbi ora: Che responsabilità abbiamo? Verso dove andare, quale sarà la rotta giusta? I passi vacillano sotto questo peso che si è aggiunto allo zaino. Si impone una sosta.

Sì! Fermarsi è la cosa giusta da fare, proprio perché non vogliamo correre, la fretta non ci appartiene più ormai. Gli obbiettivi, la produttività, la competizione, il risultato, sono concetti che ci sono lontani. Beninteso che non vogliamo sostituirli con la pigrizia, l’ignavia e l’indolenza.
Noi cerchiamo altro.
Cerchiamo relazioni autentiche da coltivare: con noi stessi, con gli altri, con il Creato.

Accade quindi che, nel fermarsi, si alza lo sguardo dal proprio cammino, si ammira il paesaggio e ci rendiamo conto di non essere isolati, attorno a noi, vicino e lontano, altrettante nuove esperienze crescono. Strade diverse vengono aperte, ma tutte con l’idea di cercare la medesima meta.
E ciascuno porta il proprio contributo in una transumanza che salverà il mondo.
Abbiamo scelto di viaggiare nei solchi del terreno arato dalle nostre mani, senza avere una spada che lo difenda, una scelta di non violenza, di non proprietà, senza recinzioni, ben sapendo che nel restare aperti è più facile essere feriti, derubati. Ancora una volta la scelta è testimonianza, lontana da un mondo sempre pronto a difendersi ed a difendere ciò che è proprio da altri. Non siamo partiti distanti dalle nostre radici, viviamo qui e qui vogliamo costruire quello che uno slogan di alcuni anni or sono recitava “un mondo diverso è possibile”. Il camminare attenti nei passi non ci impedisce di alzare lo sguardo e di andare oltre l’orizzonte alla ricerca di campi nuovi da seminare con il meticciato delle nostre differenti ricchezze.
Lanciamo attraverso le parole di un uomo profetico come Alex Langer l’invito a camminare al nostro fianco.

“(..)Oggi, soprattutto in campo ambientale, è tutta una profezia di sventura; c’è a volte il rischio di essere catastrofisti e di terrorizzare la gente, la qual cosa non sempre aiuta a cambiare strada, ma può indurre a rassegnarcisi. Piuttosto bisogna indicare strade di conversione se si vogliono evitare ragionamenti come “dopo di noi il diluvio” “tanto è tutto inutile” “ se io non inquino ce ne sono mille altri che lo fanno”
La “conversione ecologica” è cosa molto concreta.
Occorrono comportamenti personali(..)”

Tratto da –a proposito di Giona- 5 aprile 1991