10 marzo 2010

QUELLI/E CHE FECERO L’IMPRESA
















“Coltivare la terra per far crescere relazioni nuove”, se dovessimo riassumere in una frase la filosofia di questo pazzo progetto mai parole potrebbero essere più veritiere.

I tempi bui che oggi abitiamo, rattristati da crisi economiche e non solo, ci spingono a cercare strade nuove o vecchie da percorrere o ripercorrere in cerca di un diverso modo di riempire di valore le nostre esistenze.

Il nascere e svilupparsi dell’idea di un orto biologico condiviso ne è soltanto la conferma: siamo partiti ascoltando il desiderio di ritrovare un ritmo più a contatto con i tempi di Madre Terra e, prima ancora di aver riempito gli zaini, ecco sopraggiungere altri che dicono “Partiamo con voi!”, cosicché il viaggio diventa subito più lieto e sicuro. Sia per la gioia di aver raccolto relazioni autentiche prima ancora di aver seminato, sia perché nel confronto coi compagni di strada nascono nuove competenze, contaminazioni di esperienze e racconti di vita vissuta.
La strada è lunga ed incerta, per nulla facile, come in ogni viaggio autentico che si rispetti. Eppure, già dopo così poco tempo e così poca strada, i primi germogli sono già custoditi nei nostri cuori. Non solo. Molti intorno a noi chiedono “Dove andate?”, “Posso venire anch’io?”.

Immaginatevi lo stupore, di chi pensava di partire in solitaria o quasi, alla ricerca dei frutti dei propri desideri, scoprire di essere tracciatori di pista per tanti altri che seguiranno.
Quanti dubbi ora: Che responsabilità abbiamo? Verso dove andare, quale sarà la rotta giusta? I passi vacillano sotto questo peso che si è aggiunto allo zaino. Si impone una sosta.

Sì! Fermarsi è la cosa giusta da fare, proprio perché non vogliamo correre, la fretta non ci appartiene più ormai. Gli obbiettivi, la produttività, la competizione, il risultato, sono concetti che ci sono lontani. Beninteso che non vogliamo sostituirli con la pigrizia, l’ignavia e l’indolenza.
Noi cerchiamo altro.
Cerchiamo relazioni autentiche da coltivare: con noi stessi, con gli altri, con il Creato.

Accade quindi che, nel fermarsi, si alza lo sguardo dal proprio cammino, si ammira il paesaggio e ci rendiamo conto di non essere isolati, attorno a noi, vicino e lontano, altrettante nuove esperienze crescono. Strade diverse vengono aperte, ma tutte con l’idea di cercare la medesima meta.
E ciascuno porta il proprio contributo in una transumanza che salverà il mondo.
Abbiamo scelto di viaggiare nei solchi del terreno arato dalle nostre mani, senza avere una spada che lo difenda, una scelta di non violenza, di non proprietà, senza recinzioni, ben sapendo che nel restare aperti è più facile essere feriti, derubati. Ancora una volta la scelta è testimonianza, lontana da un mondo sempre pronto a difendersi ed a difendere ciò che è proprio da altri. Non siamo partiti distanti dalle nostre radici, viviamo qui e qui vogliamo costruire quello che uno slogan di alcuni anni or sono recitava “un mondo diverso è possibile”. Il camminare attenti nei passi non ci impedisce di alzare lo sguardo e di andare oltre l’orizzonte alla ricerca di campi nuovi da seminare con il meticciato delle nostre differenti ricchezze.
Lanciamo attraverso le parole di un uomo profetico come Alex Langer l’invito a camminare al nostro fianco.

“(..)Oggi, soprattutto in campo ambientale, è tutta una profezia di sventura; c’è a volte il rischio di essere catastrofisti e di terrorizzare la gente, la qual cosa non sempre aiuta a cambiare strada, ma può indurre a rassegnarcisi. Piuttosto bisogna indicare strade di conversione se si vogliono evitare ragionamenti come “dopo di noi il diluvio” “tanto è tutto inutile” “ se io non inquino ce ne sono mille altri che lo fanno”
La “conversione ecologica” è cosa molto concreta.
Occorrono comportamenti personali(..)”

Tratto da –a proposito di Giona- 5 aprile 1991

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